LA RETORICA DELL'ESCLUSIONE - GIORGIO CINGOLANI Antropologo e Regista

GIORGIO CINGOLANI
Antropologo e Regista
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LA RETORICA DELL’ESCLUSIONE
IL RUOLO DELLA STAMPA LOCALE NEL “CASO” DELL’HOTEL HOUSE
di Giorgio Cingolani
Saggio estratto da: Quei loro incontri. Lezioni settempedane, a cura di Capriotti G. e Gaetani G. Il Lavoro Editoriale, 2007

 

 
1. Premessa
In un primo momento ho pensato che questo breve articolo sulla rappresentazione sociale dei migranti attraverso il linguaggio dei media locali fosse uno sguardo un po’ limitato di fronte ad una realtà ben più articolata e complessa e che forse non bastasse a mostrare che, contrariamente al senso comune prevalente, le vere vittime dell’impatto tra migranti e società italiana sono senza dubbio i migranti.
In effetti, come ci suggerisce il sociologo Alessandro Dal Lago, la lettura specifica operata dai media riguarda un più complessivo “atteggiamento di chiusura della nostra società verso gli stranieri e le diverse pratiche sociali con cui i migranti sono esclusi e trasformati in nemici della società”1. Un atteggiamento che non alimenta solo i pregiudizi verso l’altro, ma permette di far emergere un nuovo tipo di razzismo non più supportato da ideologie, bensì un pensiero discriminatorio che si “mimetizza” nella nostra società democratica contemporanea2. Secondo un modello ormai comune a tutta l’Europa, i migranti sono un pericolo da contrastare con ogni mezzo.
Al rifiuto dei migranti potenziali corrisponde un’azione costante, da parte dei vari governi, volta all’esclusione sociale o marginalizzazione di quelli presenti.
È una realtà di fatto che, a circa venti anni dall’inizio dei flussi più consistenti di stranieri in Italia, a loro non sono riconosciuti i diritti civili, per non parlare di quelli politici e sociali. Così, se da un lato si afferma una tendenza “universalista” al superamento delle frontiere, dall’altro si va alla sempre più esasperata ricerca dell’identità perduta riscoprendo la “nazione Italia” e anche nozioni come quelle di “patria”, cioè di un sentimento comune di appartenenza condiviso che sempre più coincide con processi di inferiorizzazione delle altre società3. Paese che a lungo ha prodotto una grande quantità di emigranti, l’Italia rimuove oggi il suo stesso passato, producendo a più livelli una reazione inversa fortissima4. Invece di concepire la diversità come pluralità, differenti articolazioni di una comune e ugualitaria condizione umana, si sta creando una società in cui la separazione culturale e la rivendicazione di radici culturali e nazionali ben distinte creano i presupposti per rafforzare i modelli di esclusione e linee di divisione e demarcazione sempre più definite. D'altronde i migranti rappresentano un nemico pubblico ideale, fin troppo comodo per il gioco dell’invenzione di nuovi nazionalismi o rivendicazioni di carattere regionale, locale o di quartiere. In una visione simbolico-strutturale essi sono necessari alla costruzione dell’identità e racchiudono, simbolicamente, tutte le negatività e i pericoli sociali e tutti i bisogni di ostilità verso l’altro5.
È chiaro che diventa necessario mettere in una prospettiva critica tutte quelle categorie prodotte dal senso comune e alimentate quotidianamente dall’agire politico e dei media, nei discorsi intorno all’immigrazione, che danno luogo ad un’incredibile serie di luoghi comuni, di banalità e invenzioni, spacciate per realtà, di criminalizzazione6, di pregiudizi7 e discriminazioni, di sentito dire, di leggende metropolitane8.
Categorie che si radicano nella nostra cultura sempre più profondamente e che sviluppano quella pretesa, ormai di carattere nazionale e universale, di risolvere in termini polizieschi tutte le situazioni riguardanti le problematiche dei migranti.
Ed è una realtà di fatto che molti intellettuali e gran parte dei media - che dovrebbero farsi garanti morali della nostra società, pronti a denunciare soprusi e abusi dell’azione del sistema politico - di fronte ai temi che riguardano l’immigrazione, si allineano e spesso si fanno portavoce dell’azione politica dei governi, facendo fronte comune e ostile ai migranti e rafforzando, in questo modo, l’opinione pubblica dominante9. Le equazioni immigrato-droga, immigrato-criminalità, immigrato-forza lavoro la dicono lunga sul sapere dell’immigrazione attuale. E, in effetti, da ciò ricaviamo molte più informazioni sui soggetti che producono tale sapere che non riguardo l’oggetto di questo sapere, gli immigrati. In quanto bersaglio privilegiato e di comodo delle ossessioni, paure e fantasmi di una società che frappone ogni giorno nuovi confini visibili e invisibili, un migrante è un essere umano marginale.
I migranti esistono solo in quanto “altri”, frammenti di altre culture o religioni, e la cultura di essi esiste soltanto in quanto etnicizzata e come effetto di un processo di costruzione e etichettamento da parte della società di accoglienza che trasforma i migranti in etnie, comunità e subculture nella misura in cui vogliono identificarli e controllarli. E, per assurdo, spesso gli stessi migranti, ricacciati nei loro contenitori etnici e culturali, finiscono per riconoscersi in essi in risposta a una società che li inferiorizza e li marginalizza10. Se rimangono invisibili, invischiati nel mercato del lavoro nero o dell’economia informale e subordinata, la loro presenza è tollerata in quanto pressoché ignorata. Se si rendono visibili per la natura della loro particolare occupazione lavorativa, o perché vittime o coinvolti in qualche emergenza, vengono etnicizzati e segregati in senso sociale e culturale11. E questo è vero anche per l’ampio e variegato mondo dei servizi sociali e culturali che cercano di affrontare praticamente le questioni e problematiche che presenta l’immigrazione.
Si va verso una società in cui la pluralità viene ricacciata nel “multiculturalismo”, dal quale emergono solo le differenze, presupponendo che i migranti costituiscono l’avanguardia di culture diverse e ribadendo l’impossibilità dell’integrazione dei migranti nel senso di un’assoluta condizione paritaria civile e sociale con i cittadini italiani, scavando un solco incolmabile fra noi e loro.

 
2. Aspetti medotodologici della ricerca
Il contenuto di questo elaborato rappresenta essenzialmente il risultato di un’analisi socio-linguistica e strutturalista su come i mezzi di comunicazione di massa, e in particolare i giornali locali, incidano e siano parte attiva della società nella percezione distorta e deviante dei migranti presenti sul nostro territorio e di quanto sia importante l’influenza dei mass media nella costruzione di una società pluralista e per l’inserimento sociale e culturale dei cittadini di origine immigrata. Il metodo si ispira alla semiotica strutturalista di scuola francese e in particolare alla socio-semiotica-strutturale12 che studia i fenomeni sociali, ossia come vengono costruiti gli oggetti sociali e come i soggetti individuali e collettivi vi si inscrivono. La scelta di una situazione particolare come quella dell’Hotel House è stata per me quasi obbligata per due motivi principali: perché conosco bene la situazione in atto all’interno di questa struttura, avendo avuto modo di conoscere da vicino, negli anni, la realtà socio-culturale quanto mai varia e articolata del vissuto quotidiano di molte delle persone che vi abitano; e perché costituisce una situazione quanto mai simbolica in cui sono racchiusi tutti gli aspetti più significativi e problematici della realtà dei migranti cui la struttura, la particolare composizione multietnica e la collocazione urbanistica del palazzo, fanno da cassa di risonanza di notevole potenza mediatica.
L’analisi si è svolta con riferimento a tutti gli articoli scritti sull’Hotel House nei due principali quotidiani locali, «Il Resto del Carlino» e il «Corriere Adriatico», per un periodo di tempo di cinque anni, dall’agosto 2002 all’agosto 2007. Il periodo preso in esame, è un riferimento statistico significativo per l’analisi da realizzare. C’è da dire, infatti, che sfogliando le pagine dei due quotidiani indietro negli anni, si è appurato come l’attenzione rivolta alle vicende legate al condominio sia praticamente irrilevante da un punto di vista statistico. Mi ripropongo comunque di affrontare la questione in un prossimo futuro per migliorare la qualità e la completezza dell’analisi effettuata. Tornando alla metodologia, ho fatto uso di una griglia d’analisi per rilevare via via tutte le caratteristiche degli articoli che erano pertinenti alla mia analisi.
Ho elaborato, quindi, le categorie descrittive e interpretative trascelte secondo i livelli del percorso generativo del senso. Il monitoraggio di carattere quantitativo è utile per poter verificare la curva di attenzione, ovvero l’interesse nei confronti del fenomeno immigrazione nel contesto dell’Hotel House, e in particolare misurare quale immigrato ci viene presentato, quale copertura tematica hanno le notizie, lo stile di narrazione, la natura dei rapporti con il contesto, il livello di approfondimento della notizia e le fonti utilizzate. Si è inteso, dunque, privilegiare una lettura degli aspetti qualitativi per evidenziare in che modo il linguaggio mediatico, e in particolare quello giornalistico, presenta al lettore o spettatore la figura dell’altro e quali ricadute questo può provocare. E se il messaggio comunicato o l’informazione data è obiettiva o determinata da fattori esterni di vario genere. Una serie di indicazioni di carattere antropologico ci permettono, poi, di individuare meglio alcune delle situazioni trattate e di approfondire gli aspetti dinamici e strutturali delle questioni oggetto del nostro studio.

 
3.   Le radici della paura
L’immigrazione straniera nelle Marche ha una storia relativamente recente. I primi flussi di una certa rilevanza da un punto di vista quantitativo si possono far risalire all’inizio degli anni ’80. Tuttavia, rispetto ad altre regioni italiane, il territorio marchigiano rimane interessato in modo marginale almeno fino agli anni ’90.
Nel 1991 nelle Marche risultano regolarmente residenti 10.500 individui pari a circa l’1,1% della popolazione regionale.13 A partire dalla metà degli anni ’90 si delinea un processo esponenziale di crescita della popolazione dei migranti stranieri, accompagnato da un maggior radicamento sul territorio grazie alle pratiche di ricongiungimento familiare di molti individui stranieri residenti, un maggior tasso di inserimento lavorativo e una maggiore durata dei soggiorni. Dal 2000 ad oggi si verifica un fenomeno di crescita, relativa all’immigrazione, che arriva a superare il tasso medio percentuale di densità nazionale. Nelle Marche il territorio con il rapporto migranti/residenti più elevato è la provincia di Macerata, che anche a livello nazionale occupa i primi posti. In questo contesto Porto Recanati costituisce un punto di eccezione in quanto l’incidenza degli stranieri residenti sul totale della popolazione supera ormai il 22% collocando la cittadina fra i primi comuni in Italia per concentrazione di migranti14. Il dato di Porto Recanati è dovuto principalmente alla presenza di un luogo particolare, un grattacielo denominato “Hotel House”, che è abitato da circa 1.400 cittadini stranieri provenienti da varie nazionalità e che rappresenta l’oggetto e il soggetto del nostro studio15.
Questa breve analisi ci permette di mettere a fuoco la veloce e grande trasformazione che ha investito nella nostra regione il rapporto fra società e territorio. A distanza di dieci-quindici anni dallo svilupparsi di un fenomeno migratorio di massa, le città, il territorio nell’insieme, appaiono a chi vi abita luoghi dell’insicurezza, talora luoghi di conflitto o di illegalità. Una paura che non rispecchia il reale andamento dei reati e dei conflitti sociali in Italia e nella nostra regione, ma è il riflesso del grado di solitudine e inquietudine delle persone16. L’esperienza diretta di relazione e di incontro con gli altri, la conoscenza del mondo esterno, è sostituita dalla mediazione fornita dai media e dalla tecnologia sempre più sofisticata. Si tende a rinchiudersi sempre più nelle proprie case, si riduce la possibilità d’incontro, di relazione con gli altri e il territorio si affolla di “stranieri”. In generale c’è la tendenza a guardare e a giudicare ciò che avviene nel mondo esterno attraverso una mediazione.

 
4. L’immigrato come nemico
E’ facile identificare in chi emigra in un paese straniero il nemico pubblico ideale per la società che lo accoglie. Questo modo di percepire i migranti non segue la logica della “razionalità”, ma quella del senso comune17, che è sottoposto a un processo incessante di costruzione simbolica. Quasi tutte le affermazioni più comuni sulla minaccia sociale e sulla pericolosità dei migranti sono discutibili e, più spesso di quanto si creda, false. Tuttavia, anche se facili da contraddire e da smentire, la maggior parte di queste affermazioni non sempre si possono mettere sul piano della verità o della falsità; più spesso la loro corrispondenza sociale, la condivisione di certi concetti o frasi o pensieri, è socialmente “vera” e a prova di smentita18.
Di fronte al crescere dell’immigrazione, anche nella nostra regione, dopo una prima fase di quasi indifferenza, sono emerse reazioni in senso escludente. Sono andati crescendo una diffidenza sempre più ostile e il timore di un’irreparabile perdita d’identità che scaturiscono, invece, dall’incapacità globale della nostra società di affrontare i fenomeni migratori da un punto di vista sociale, culturale e politico.
Di qui la crescita del razzismo, la diffidenza ostile, la discriminazione e l’esclusione sociale e civile. Tutti aspetti diversi di un’unica faccia, quella della paura dell’altro, in cui si riconosce sostanzialmente compatta la nostra società. E le barriere sempre più forti che vengono erette contro le comunità di migranti sono anche evidenti nella simbologia e nel linguaggio con il quale vengono rappresentati: termini come “immigrati”, “extracomunitari”, “clandestini”, “vu cumprà”, “stranieri”, caratterizzano questi esseri umani principalmente come alieni, rappresentanti di mondi talvolta completamente opposti al nostro, ma tutti accomunati dal fatto di non aver alcun diritto a vivere nel nostro spazio sovrano nazionale o sovranazionale19.
Questi preliminari esigono una spiegazione su in cosa consista una ricerca antropologica in questo contesto. Partiamo dal presupposto che la ricerca antropologica ha come suo oggetto intellettuale privilegiato la questione dell’altro. L’altro che si definisce in rapporto e in contrapposizione ad un “Noi” che si suppone identico e immutabile. Noi siamo italiani, europei, occidentali. Il rapporto con l’altro è allora indispensabile per arrivare ad una definizione del sé. Ora, il concetto di alterità costituisce un passaggio fondamentale per la comprensione dei processi di costruzione dell’immagine dell’altro, sia a livello linguistico, sia a livello simbolico20.
Alla base di questo concetto c’è la nozione di differenza. Differenza che, come ci spiega Claude Levi-Strauss, non è per forza interpretabile come disegualianza.21
L’importanza della differenza non è data solo dalla tendenza umana alla categorizzazione, ma è qualcosa di irriducibile, la cui esistenza è fondamentale alla comprensione della realtà umana. In questo senso imprescindibile è il contributo dato dalla linguistica e dal paradigma strutturalista messo a punto da Claude Levi-Strauss22. Partendo dal presupposto che il significato è relazionale, ciò che porta alla sua costruzione e definizione risiede nella differenza tra A e B.23
Quindi la diversità del mondo e delle società umane viene definita come compresa tra due estremi, senza sviluppare a livello concettuale l’esistenza di un qualcosa che occupi posizioni intermedie. Allo stesso tempo il significato è un elemento dialogico che può essere costruito solo tramite un dialogo con l’altro. Esso viene modificato ogni volta che si instaura un’interazione verbale o non verbale con un altro individuo. Per cui l’altro è fondamentale per la costituzione del sé, per noi, per la costruzione di significato della nostra identità. In questo senso appare più chiaro in che modo il linguaggio sia così importante per il concetto di rappresentazione, non solo verbale e possiamo senz’altro procedere ad analizzare il processo di costruzione dell’immagine dell’altro, da un punto di vista linguistico e antropologico.

 
5. La retorica del disprezzo. Pregiudizi e stereotipi.
I migranti presenti sul territorio italiano vengono sottoposti quotidianamente a una pratica di reinvenzione simbolica straordinaria come nemici e minacce per la nostra sicurezza personale e per le città in cui viviamo, per i nostri valori, per la nostra cultura, per le nostre reali o immaginarie identità. I migranti minano la nostra stabilità demografica, sottraggono posti di lavoro, minacciano i valori della nostra democrazia e del nostro credo religioso, tramano nell’ombra e sono dediti ad attività criminose. Mine vaganti, bombe ad orologeria che non si sa bene come e quando esploderanno, mettendo a rischio e in crisi la nostra stessa “presenza”.
Come accennato nel paragrafo precedente, la costruzione di un “nemico” gioca un ruolo importantissimo, ai fini della definizione simbolica dei confini entro i quali noi ci definiamo come appartenenti a una stessa nazione, a una società. “Padroni a casa nostra” è uno sgangherato slogan ideato da Forza Nuova, gruppo politico emergente negli ultimi anni soprattutto a livello locale, che indica bene il livello insensato e irrazionale della pratica di costruzione della nostra identità nazionale.
Non si ha bisogno dei migranti solo per far andare avanti la nostra economia, le nostre industrie e aziende, ma anche per escluderli come nemici. Alla fine il doppio gioco serve per rendere accettabile il fenomeno migratorio, sopportarlo come un dato di fatto. Noi non consideriamo i migranti in quanto esseri umani, individui degni di entrare a far parte della nostra società “civile”, noi li trattiamo come ospiti malvoluti che siamo costretti, volenti o nolenti, ad accogliere, come una sorta di fastidiosa infiltrazione. Con il vantaggio però di poterli trattare come meglio ci piace, come sottocategoria di membri della società, come parte illegittima del corpo sociale e civile. L’immagine dell’immigrato più diffusa è quella del clandestino e quindi del delinquente, perché, chi non ha un regolare permesso di soggiorno, anche se non ha commesso alcun reato, diventa automaticamente un pericolo sociale pubblico24.
In una società democratica mediatica come la nostra, è chiaro che queste nuove forme di razzismo, con i loro simboli, godono di una libertà di comunicazione straordinaria capace di giungere a milioni di individui e decisiva per la costruzione sociale della paura in un ottica che, sempre più, si fonda sulla contrapposizione radicale e razzista tra noi/loro in nome dell’ordine e della legalità.

 
6. L’informazione sui migranti
Umberto Eco fa nascere la cultura di massa con l’avvento dei quotidiani25.
Ogni giorno il quotidiano deve uscire con un certo numero di pagine e con rubriche e servizi che presentano ben poche variazioni. Ogni giorno occorre riempire gli spazi del giornale con notizie, che diventano “vere” nel momento stesso in cui vengono pubblicate. Circa nove dispacci d’agenzia su dieci vengono eliminati e soltanto uno trova spazio per comparire come notizia26. Nella selezione delle notizie entra in gioco un processo di negoziazione fra diverse forze sociali, sia all’interno delle testate giornalistiche o redazioni televisive (per esempio, in riferimento al rapporto fra proprietà, direzione e redazione), che all’esterno (pensiamo al campo politico-istituzionale, che rappresenta fra l’altro la principale fonte di eventi-notizie che invadono ogni giorno il sistema d’informazione) 27. Ciò che arriva alla massa di gente comune è il risultato di queste negoziazioni: in altre parole, televisioni, giornali e radio decidono, spesso non in modo autonomo, quali notizie andranno a far parte dell’agenda informativa del paese, creando di fatto una realtà simbolica accanto alla realtà materiale della vita quotidiana. Tuttavia, anche i media influenzano le scelte istituzionali, imponendo propri valori e strategie alle strutture politiche.
All’interno delle redazioni sono utilizzati una serie di criteri di selezione delle informazioni che si basano non sull’importanza o rilevanza pubblica come notizia, bensì scaturiscono da altro tipo di esigenze. Lo studioso Niklas Luhmann, in un lavoro recente28, ha individuato dieci parametri utilizzati dalle redazioni per selezionare le notizie sulla base essenzialmente dell’effetto cosiddetto “sorpresa”, ai fini di interessare il lettore provocando una sorta di “shock”, da inserire comunque sempre in un ambito di riconoscibilità, e quindi in contesti che spesso divengono stereotipati e facilmente ripetibili. Questi parametri sono:
  1. la novità, come dicevamo sopra sempre inserita in un ambito di attese comuni e ripetibilità
  2. Il conflitto, ciò che provoca l’effetto sorpresa e lo “shock” e in parallelo crea incertezza
  3. La quantità, che presta particolare attenzione ad eventi di particolare rilevanza nel numero
  4. La località, con notizie che ricadono nell’ambito locale delle comunità di lettori di riferimento
  5. L’infrazione delle norme, con un occhio di riguardo ad un codice etico-morale di condotta, oltre che le norme comuni della legalità
  6. Ciò permette di offrire lo spunto per valutazioni morali. I media rivestono così un ruolo importante nel mantenimento e nella riproduzione della morale comune.
  7. L’attribuzione dei fatti ad attori riconoscibili, in modo da facilitare e rendere più facile la comprensione di fatti che in realtà sono molto complessi.
  8. L’attualità e la ricorsività, creano serialità, riconoscibilità e tipizzazione. Provocando anche quel senso comune fatto di stereotipi.
  9. L’espressione di opinioni, spesso ricondotto nell’ambito dell’autoreferenzialità dei media.
  10. Le informazioni vengono selezionate e montate dal sistema dei mass media in rubriche e modelli, sviluppando, in questo modo, le proprie “routine”.

 
Il tutto a scapito dell’approfondimento che oltre a richiedere doti non comuni di analisi socio-culturale e sufficiente conoscenza della materia trattata, richiede un maggior lavoro di ricerca di fonti alternative rispetto a quelle istituzionali, di lavoro di indagine, di rigore e obiettività, oltre ad una buona dose di onestà professionale.
La rappresentazione della realtà è quindi fortemente illusoria, fallace e ambigua.
Ciò che ci viene proposto quotidianamente è una precisa e determinata interpretazione della “realtà” e dell’informazione e non una mera riproposizione obiettiva dei fatti come si vuol far credere. C’è una vera produzione e costruzione di ciò che rappresenta la “notizia” che risponde a criteri principalmente economici nell’ottica di un sistema fortemente concorrenziale.29 All’interno di questo sistema, la rappresentazione dell’immigrazione e dei migranti può essere considerata, allo stato attuale, come uno degli esempi più pregnanti e calzanti di stereotipo giornalistico, preconfezionato.
Una rappresentazione semplificata fino all’eccesso, che diventa valore/notizia centrale nell’ottica della visione del mondo costruita dai media nazionali e locali, che ruota intorno al leit-motiv dell’allarme sociale o al massimo di problema sociale.
Un sistema e una visione che provoca comunque una percezione dell’Altro connotata da un’irriducibile alterità, cristallizzando l’opposizione noi/loro “nel tentativo di legittimare la “nostra” superiorità e la “loro” inferiorità” 30. È qui che s’inserisce l’approfondimento del discorso relativo alla stampa locale ed il ruolo che essa gioca riguardo il tema dell’immigrazione.

 
7. Il nemico necessario
Il problema più evidente, e la riflessione che emerge con più forza analizzando le pagine dedicate dalla stampa nazionale e locale alle vicende dell’Hotel House, riguarda il fatto che l’immigrato, che rappresenta l’oggetto e il soggetto in causa, non ha, se non assai limitatamente, alcuna possibilità di azione, negoziazione e rappresentazione nel contribuire alla costruzione della notizia e ciò provoca un’informazione riguardo ciò che lo riguarda sempre lacunosa, mancante e parziale31. L’allarme immigrazione e il problema della criminalità straniera sono diventati temi di riferimento all’interno delle testate e delle redazioni giornalistiche e, negli ultimi anni, hanno preso la forma dello stereotipo, di informazione che diventa notizia a prescindere dai fatti che serve a veicolare una rappresentazione simbolica univoca e parziale del migrante e del fenomeno migratorio32. Antonello Dal Lago chiama questo processo “tautologia della paura” 33. Secondo l’analisi condotta da questo sociologo, i media e il sistema politico, invece di spiegare e affrontare le paure e le tensioni della gente nei confronti dell’immigrazione, le rincorrono, utilizzando ripetutamente e ciclicamente luoghi comuni e stereotipi: così facendo però, le alimentano e le legittimano. I mezzi di comunicazione di massa sono capaci di creare e alimentare questi messaggi di senso comune veicolando sentimenti di paura e li possono comunicare istantaneamente a un numero enorme di persone.
Questo grande potere nasconde un intreccio pericoloso tra strumentalizzazione politica, per creare facile consenso, e disponibilità di notizie dal forte sensazionalismo per i media: tutto in favore di una visione collettiva basata soprattutto su di un senso comune che è dato come verità scontata. Sono i media l’elemento decisivo per dare visibilità e risalto a certi attori sociali. Il rilievo e l’attenzione sempre maggiore rivolti dai media all’immigrazione negli ultimi decenni ha provocato la costruzione e ricostruzione di un modello negativo: la concentrazione di notizie negative comunica costantemente un’immagine dell’immigrazione e del migrante come problema sociale e minaccia ed è decisiva per alimentare il circuito. Il canovaccio narrativo, come vedremo bene analizzando il caso specifico dell’Hotel House, è creato sempre a partire dagli stessi elementi basati essenzialmente sull’equazione immigrato-delinquente. Il disordine sociale, la sensazione di vivere come assediati da parte dei cittadini, le proteste contro la presenza ingombrante e pericolosa dei migranti, la paura del “meticciato”, le richieste di maggiori controlli e sicurezza rivolte alla polizia, il plauso e il sollievo per le azioni repressive delle forze dell’ordine, il senso di vivere in una situazione allarmante di emergenza, sono i vari fattori di un meccanismo sempre uguale, che risulta sufficiente a fare di questi sentimenti delle realtà indiscutibili e rappresentative di ciò che la gente davvero pensa.

 
8.  Dati storici sull’Hotel House
La costruzione dell’Hotel House è stata realizzata sul finire degli anni sessanta34 secondo un progetto dell’imprenditore abruzzese (anconetano d’adozione) Antonio Sperimenti e con l’avallo della Democrazia Cristiana che fortemente lo appoggiò.
Il progetto originale prevedeva la costruzione di un quartiere residenziale autosufficiente con tutta una serie di servizi utili per una comoda e lussuosa villeggiatura. Il corpo principale di questo quartiere era rappresentato dall’Hotel House, un edificio di 16 piani con 480 appartamenti signorili (trenta per ogni piano), orientato in modo che ogni ala potesse contare su di un’esposizione giornaliera al sole, vista sul mare o sul verde. I percorsi verticali della struttura venivano sopperiti con l’uso di otto ascensori di tipo rapido, due montacarichi di servizio e scale molto ampie e sufficientemente illuminate a sole. La collocazione dell’edificio al centro di raccordi stradali e ferroviari rilevanti e non lontano dalla spiaggia rispecchiava in modo palese la volontà precisa del costruttore di privilegiare la dimensione turistico-residenziale e, contemporaneamente, indirizzava in modo preciso quella della composizione sociale. Il quartiere dell’Hotel House, così come era stato progettato, occupava un’area di 40.000 mq di terreno di cui soltanto il 15%, ossia 6.000 mq, erano edificati. Tutta la restante area era destinata a parco-giochi per bambini, parcheggi, negozi, ristoranti, impianti sportivi e ricreativi (campi da tennis, sauna finlandese ecc…), e al verde. I criteri di costruzione di tutte le strutture erano basati, a detta dell’imprenditore, sui più moderni e avanzati mezzi a disposizione all’epoca35. Tuttavia, la dote che Antonio Sperimenti teneva a mettere maggiormente in risalto, non era tanto la qualità degli appartamenti e dei materiali usati, quanto soprattutto l’autosufficienza del quartiere, un particolare non secondario se pensiamo alla percezione ghettizzante odierna della struttura.36 Sulle vicende del fallimento finanziario e del successivo suicidio del costruttore non intendo soffermarmi.
È utile rilevare, invece, che il progetto originale residenziale non fu portato a compimento e molti proprietari tentarono di sbarazzarsi degli appartamenti acquistati. Iniziò lentamente a prendere forma quel processo di cambio di destinazione che, con l’arrivo dei primi flussi di migranti negli anni ’80 e poi, sempre più numerosi, soprattutto a partire dagli anni ’90, troverà nell’edificio una collocazione ideale per bassi costi, vicinanza a nuclei industriali rilevanti e facilità di formare comunità “etniche” di riferimento. Il pensiero del costruttore rispetto al futuro esito dell’edificio, da lui pensato e costruito, trova oggi, per paradosso, compimento nella convivenza di individui emigrati da trentaquattro paesi differenti che, all’interno della struttura, trovano la possibilità di dar forma a una serie di vincoli sociali di solidarietà e reciprocità con i propri connazionali, riproponendo tratti simbolici e culturali di appartenenza: “Nel grattacielo si attua probabilmente quella che è una delle condizioni ideali per l’abitazione dell’uomo del nostro tempo, e cioè la solitudine nella comunità. Nel suo interno ogni singolo gruppo familiare fruisce senza impedimenti della propria libertà e nello stesso tempo si sente protetto, rassicurato dal calore delle molte esistenze che si svolgono attorno e accanto ad esso.37

 
9.  2002-2007 – Cinque anni di articoli: la pratica quotidiana di costruzione simbolica dell’ “Hotel House”
In senso provocatorio possiamo affermare che gran parte di ciò che conosciamo dei fenomeni migratori e delle ricadute che hanno sulla nostra società, proviene dalla diffusione delle informazioni operata dai mass-media38. La situazione dell’Hotel House e l’evidenza del fenomeno migratorio in atto all’interno dell’edificio possono essere considerati tra gli esempi più chiari della tendenza appena citata.
La gente comune non ha esperienza diretta, nella vita quotidiana, di ciò che accade all’interno di questo grattacielo, né ha contatti diretti o rapporti di relazione sociale costanti con i migranti che vi abitano e le notizie acquisite su questo fronte dipendono soltanto dal sentito dire, dalle “chiacchiere” quotidiane, da esperienze di contatto molto superficiale, o avvenute in contesti standardizzati e nei luoghi di interazione pubblici comuni. Tutte le altre informazioni provengono dalle pagine dei media locali, che divengono, quindi, i principali agenti nel formare l’opinione pubblica e il senso comune sulla questione. Prima di inoltrarci nell’analisi testuale e strutturale del ruolo dei media locali nella produzione di un immaginario collettivo riguardo l’Hotel House, caratterizzato in senso fortemente pregiudiziale e negativo, vorrei fornire una serie di riferimenti statistici per far capire la situazione specifica vissuta all’interno dell’edificio. I dati ufficiali sul numero di residenti dell’Hotel House, aggiornati al 6 agosto 2007 ci dicono che all’interno dei 480 appartamenti vivono 1.403 individui39. La composizione multi-etnica della popolazione di abitanti dell’Hotel House è rappresentata dalla seguente tabella:

 
Situazione demografica residenti Hotel House aggiornata al 06 agosto 2007

 
Senegal
343
Argentina
05
Bangladesh
260
Brasile
03
Tunisia
172
Colombia
03
Pakistan
117
Liberia
03
Nigeria
103
Russia
03
Italia
94
Ucraina
03
Cina
58
Perù
03
Macedonia
52
Mauritius
02
Marocco
47
Moldavia
02
Algeria
30
Polonia
02
Romania
15
Stati Uniti
01
India
13
Bosnia
01
Albania
11
Repubblica Ceca
01
Repubblica
Dominicana
06
Eritrea
01
Egitto
05

 

 

 
*Dati elaborati dall’Ufficio Anagrafe del Comune di Porto Recanati

 
Altri dati ci aiutano a contestualizzare la situazione demografica e sociale attuale all’interno dell’Hotel House: il primo dato è quello relativo alla presenza di minori, che si aggira attorno alla cifra di circa 300 individui; la percentuale di popolazione femminile all’interno della popolazione residente, invece, si attesta attorno al 26-27% della popolazione totale. Altro interessante raffronto è quello che si può fare tra la presenza degli italiani nel 2005 e quella attuale che ci permette di rilevare un calo consistente: si passa da132 abitanti nel 2005, ai 94 di oggi.
Tuttavia, un’analisi della proprietà dei singoli appartamenti  ci mostra una differente situazione:

 
Italia
251
Russia
03
Bangladesh
71
Brasile
02
Senegal
48
Colombia
02
Pakistan
37
Moldavia
02
Nigeria
28
Argentina
02
Tunisia
23
Ungheria
02
Marocco
09
Cina
01
Macedonia
07
Albania
01
Algeria
05
Etiopia
01
Perù
04
Filippine
01
Egitto
03
India
01

 
*Dati elaborati dall’Ufficio Anagrafe del Comune di Porto Recanati

 

 
Da queste statistiche si possono trarre utili indicazioni, soprattutto riguardo al fatto che, a fronte di un numero crescente di migranti nella composizione della popolazione abitativa dell’edificio, corrisponde un incremento deciso dell’unità familiare, in un’ottica di radicamento e di presenza permanente sul territorio.
Tornando alla questione legata alla costruzione di un immaginario collettivo riguardo l’Hotel House, vorrei sottolineare con forza che i mezzi di comunicazione hanno fornito un loro contributo specifico e particolare nella costruzione di un’immagine del luogo e dei suoi abitanti fatta di cliché, stereotipi e rappresentazioni di stampo razzista. Con toni senzazionalistici, spesso allarmistici, l’immigrazione appare ciclicamente sulle pagine dei quotidiani come una questione che riguarda la criminalità, l’ordine pubblico e la sicurezza, la devianza e la violenza, l’esasperazione degli onesti cittadini e commercianti locali. Ormai è scontato che gli immigrati rappresentino un problema da risolvere e le soluzioni proposte sono maggiori controlli, repressione e tolleranza zero. Chi ha avuto, come me, esperienza diretta di contatto e incontro per lungo tempo con persone di varia nazionalità che vivono all’Hotel House, probabilmente instaura un tipo di confronto con questa realtà che è molto distante dalla percezione comunemente diffusa nell’opinione pubblica.
Non si tratta di negare criticità o problematiche legate ad attività criminose o non lecite; si tratta invece di negare la realtà virtuale creata dai mass-media, ossia tutta la rete simbolica di rappresentazioni e immagini che essi propongono quotidianamente riguardo l’Hotel House, veicolandole a molte migliaia di persone e alimentando l’immaginario collettivo e il senso comune. Viene spontaneo riflettere sul fatto che, nonostante la conoscenza diretta di persone che vivono all’Hotel House e di situazioni e vicende che vi accadono sia questione che riguarda un numero esiguo di persone, tutti hanno comunque una propria opinione personale in proposito. Alla luce di queste considerazioni può essere interessante vedere in che modo i giornali locali e anche i media nazionali hanno descritto e raccontato le vicende riguardanti i migranti e l’Hotel House in quanto luogo e situazione fortemente simbolica, cercando di far luce sui motivi per i quali si insiste su un certo tipo di rappresentazione. In altri termini, s’intende verificare come una determinata visione del mondo o di una realtà sociale scaturisca da un processo di costruzione della realtà quotidiana a partire da posizioni preminenti e privilegiate.

 
10. L’Hotel House come valore/notizia
Inizio con la premessa che tratterò il tema in maniera sintetica e accessibile partendo da due dati di fatto e certezze difficilmente confutabili: in primo luogo l’immigrazione rappresenta uno dei temi chiave a livello giornalistico; in secondo luogo la rappresentazione mediatica del tema immigrazione è superficiale e semplicistica e assume spesso toni negativi e generalizzanti. Il caso specifico dell’Hotel House ci permette di vedere all’opera quei meccanismi di rappresentazione giornalistica, di cui abbiamo fin qui parlato, nel concreto. Tutti i giornali locali presentano quotidianamente una formula ormai consolidata che tiene conto sia delle informazioni “alte”, sia di quelle “basse”, un mix dove politica, gossip, curiosità e pettegolezzo, cronaca e scandali, affari e cultura sono tenute insieme dal collante di un forte radicamento e riferimento sul territorio. Il giornale è pensato e realizzato per il pubblico locale e ciò è funzionante ai meccanismi della costruzione e riappropriazione dell’identità. Un punto di riferimento costante che fornisce chiavi di lettura del territorio di appartenenza e delle vicende che vi accadono.
Proprio per questi motivi la cronaca ha un’assoluta preminenza in quanto tema attraverso il quale costruire un consenso popolare immediato, facendo leva su quei sentimenti di ricerca di protezione, nell’ottica di un mondo dove i cambiamenti sono rapidi e radicali e nel quale, giornalmente, siamo investiti da un’eccedente quantità di informazioni che provocano un certo senso di estraniazione.
La sicurezza, l’ordine, la paura sociale di pericoli esterni, sconosciuti, forniscono lo zoccolo duro, il leit-motiv che garantisce le vendite e permette di mettere in moto processi di ripetitività e riconoscibilità. L’informazione giornalistica sull’immigrazione è basata largamente, come già detto, su stereotipi e su una semplificazione eccessiva giocata in termini di allarme sociale. La complessità viene ricondotta ad un’evidente contrapposizione tra Noi e Loro, dove il “loro” è sempre dipinto come fortemente diseguale, come minaccia per la comunità locale, che mette a rischio la coesione e l’identità, come problema e pericolo sociale. In questo modo la stampa mantiene alta l’attenzione sociale sul fenomeno, sfruttandolo periodicamente come risorsa in senso identitario.
È evidente che la soglia di attenzione mediatica attorno a una struttura così fortemente “Altra” sia necessariamente alta e si trasformi ciclicamente nel cavallo di battaglia, non solo per i giornali alla ricerca continua di toni sensazionalistici per incrementare le vendite, ma anche per istituzioni locali, forze dell’ordine e residenti che usano la cassa di risonanza dell’Hotel House per far sentire la propria voce e la propria presenza.

 
11. Il caso Hotel House
Un recente articolo apparso nell’agosto 2007 su “Il Resto del Carlino” nella cronaca di Recanati/Porto Recanati, titolava in bella evidenza (con tanto di foto): “Crimine, otto su dieci non si sentono sicuri” 40. Si trattava di un’inchiesta, un sondaggio un po’ goffo41 in verità, che intendeva stilare una classifica delle cause di maggior insicurezza sociale secondo i cittadini di Porto Recanati. Al primo posto (6 su 8 hanno risposto così) di questa speciale classifica “c’è l’immigrazione clandestina e la presenza nel territorio di focolai di delinquenza come (ma non solo) l’Hotel House”. Tutti concordano nel ritenere indispensabile un’intensificazione nella prevenzione e repressione dei reati, aumentando gli organici delle forze di polizia presenti nel paese. I due che si sentono sicuri, invece, propendono per una riforma della giustizia e per campagne di educazione e sensibilizzazione dei cittadini. Questo articolo ci mostra come l’opinione della gente comune ha acquisito sempre maggior importanza, diventando con il tempo l’unica vera fonte autorevole di legittimazione per un “trattamento adeguato” da parte dei media del problema immigrazione.
Ormai diffusamente nel nostro paese, la popolazione vive con sempre maggior preoccupazione e partecipazione i problemi e le minacce che l’immigrazione rappresenta per la nostra società. Minacce che sono ben individuabili come pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone. Il pericolo sociale rappresentato dall’immigrazione è ai primi posti dell’agenda dei politici e dei mass media.
Si può aggiungere inoltre, che più immigrati rappresentano sicuramente, nella percezione popolare, un incremento della criminalità. Tuttavia, ciò che mi preme mettere in evidenza è che partendo da una base di indagine e sondaggio statistico assolutamente limitate (otto su dieci), il giornale riporta dati raccolti senza alcun metodo scientifico, come opinione pubblica dominante. Questo caso porta allo scoperto un meccanismo perverso, ormai sempre più utilizzato dai quotidiani e dai media in generale: si presentano le notizie in modo eclatante per dare loro rilievo giustificando, così, titoli allarmistici e spettacolari; dall’altra parte questi toni drammatici creano l’effetto sorpresa e scioccano i lettori, consolidando la strategia di costruzione dell’emergenza e allarme sociale e allo stesso tempo legittimando le successive notizie che riguarderanno il problema della criminalità straniera.
Il sistema media è essenzialmente autoreferenziale e procede in un circolo vizioso e pericoloso. Chi ne fa le spese è l’immigrato che tra l’altro non può partecipare al gioco della costruzione della propria immagine sociale. Prima di iniziare la rassegna degli articoli sull’Hotel House è fondamentale analizzare i dati statistici che racchiudono il senso della ricerca fatta sui due quotidiani attraverso la griglia interpretativa predisposta.

 

 
I parametri sono evidenziati nella seguente tabella riassuntiva che riporta le statistiche complessive dei cinque anni presi in esame per ogni singolo giornale:

 

 
Resto del Carlino – agosto 2002/agosto 2007
Numero di articoli sull’Hotel House
231
Prima pagina nazionale
6
Prima Pagina Carlino Marche ediz. Macerata
19
Articoli cronaca locale
206
Corredo visivo
79
Argomenti
cronaca
180
Politiche controllo e sicurezza
12
Proteste contro abusivismo
0
Analisi sociali e demografiche
9
Iniziative sociali e culturali
19
Etnicizzazione titoli
83
Articoli riguardanti donne immigrate
19
Posizione articoli
Apertura
49
Taglio alto
61
Taglio medio
21

 

 

 
Corriere Adriatico – agosto 2002/agosto 2007
Numero di articoli sull’Hotel House
180
Prima pagina
17
Articoli cronaca locale
163
Corredo visivo
104
Argomenti
cronaca
105
Politiche controllo e sicurezza
23
Proteste contro abusivismo
13
Analisi sociali e demografiche
9
Iniziative sociali e culturali
14
Etnicizzazione titoli
39
Articoli riguardanti donne immigrate
5
Posizione articoli
Apertura
76
Taglio alto
21
Taglio medio
27

 
Dall’analisi di questi resoconti numerici emergono alcuni punti fondamentali che in parte confermano le tesi sostenute nella nostra trattazione: numero di articoli rilevante per una situazione specifica, che, tra l’altro, rientra perfettamente nell’ambito di un’esigenza giornalistica di riproducibilità e ciclicità: 231 su «Il Resto del Carlino», 180 sul «Corriere Adriatico». L’attenzione centrata sulla cronaca e la sicurezza: 83% ne «Il Resto del Carlino» e 71% nel «Corriere Adriatico» (alla quale, però, a mio avviso potrebbe essere aggiunta anche una serie di articoli sulle costanti discussioni e diatribe locali di carattere politico e economico sulla lotta contro l’abusivismo e la vendita di merce contraffatta, 7,2%). Il grande rilievo dato agli articoli riguardanti l’Hotel House, che occupano in moltissimi casi una posizione preminente nell’impaginazione del quotidiano: 67,5% su «Il Resto del Carlino» e 78,3% sul «Corriere Adriatico». Da sottolineare anche il ricorso all’uso di fotografie come corredo visivo dell’articolo che contribuisce in maniera determinante a porre in risalto certi articoli all’interno della pagina: 34,2% degli articoli ne «Il Resto del Carlino», 57,8% sul «Corriere Adriatico». Infine, si rileva una scarsa attenzione mostrata da entrambi i quotidiani, nei confronti della condizione femminile nel contesto dei fenomeni migratori, che sale all’attenzione soltanto per questioni di cronaca, principalmente legate alla prostituzione: 8,2% su «Il Resto del Carlino», 2,7% sul «Corriere Adriatico».
A queste tabelle che espongono i dati generali globali è utile aggiungere un riassunto dei dati statistici raccolti anno per anno dei due quotidiani per far emergere la curva d’interesse mediatico riguardo la situazione dell’Hotel House.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Il Resto del Carlino
2002
Ago/dic.
2003
2004
2005
2006
2007
Gen./ago.
Numero di articoli sull’Hotel House
14
37
33
52
57
38
Prima pagina
1
1
-
-
2
-
Prima Pagina Carlino Marche ed.Macerata
1
3
6
1
5
3
Articoli cronaca locale
12
33
27
51
50
35
Corredo visivo
1
8
10
13
27
20
Argomenti
Cronaca
13
27
29
39
45
27
Politiche controllo e sicurezza
-
9
-
-
-
3
Proteste contro abusivismo
-
-
-
-
-
-
Analisi sociali e demografiche
-
-
2
-
3
4
Iniziative sociali e culturali
1
1
2
3
8
4
Etnicizzazione titoli
4
14
14
18
18
15
Articoli riguardanti donne immigrate
-
6
4
2
4
3
Posizione articoli
Apertura
1
4
8
12
14
10
Taglio alto
-
5
14
19
13
10
Taglio medio
4
4

 
6
3
4

 

 
Corriere Adriatico
2002
Ago/dic.
2003
2004
2005
2006
2007
Gen./Ago
Numero di articoli sull’Hotel House
10
20
28
59
34
29
Prima pagina
2
1
3
2
4
5
Articoli cronaca locale
8
19
25
57
30
24
Corredo visivo
4
14
16
33
20
17
Argomenti
Cronaca
9
7
15
33
25
16
Politiche controllo e sicurezza
1
7
2
12
-
1
Proteste contro abusivismo
-
2
1
6
-
4
Analisi sociali e demografiche
-
2
2
2
2
1
Iniziative sociali e culturali
-
-
4
6
2
2
Etnicizzazione titoli
6
3
5
9
9
7
Articoli riguardanti donne immigrate

 
1

 

 
3
1
Posizione articoli
Apertura
2
6
9
27
23
9
Taglio alto
2
2
3
5
-
2
Taglio medio
2
7
4
8
3
5

 
Da questi dati emerge la linea dinamica di spostamento dell’attenzione, importante ai fini della costruzione sociale dell’Hotel House in quanto valore/notizia e che ci introduce ad un tipo di analisi più approfondito di tipo qualitativo.

 

 

 
12. Strategie di semplificazione e stereotipizzazione dei fatti
Il lavoro fin qui svolto è stato necessario per rendere chiara, in modo succinto, la complessità della situazione e far capire la dinamica dei fatti che hanno portato alla costituzione di questo edificio come luogo nel quale, per varie ragioni, sono confluiti molti migranti di varia provenienza. Ora passiamo ad analizzare come l’Hotel House sia sottoposto a un processo di semplificazione da parte dei media, in primo luogo,attraverso la selezione dei singoli episodi trasformati in notizia, in secondo luogo attraverso un processo di descrizione degli eventi superficiale che rafforza quell’immagine che dell’Hotel House si è fatta l’opinione pubblica, ma che, ricordiamo,  è costruita dagli stessi media. L’attenzione quasi totale a fatti di cronaca e di ordine pubblico non è inserita in un’interpretazione approfondita ed esaustiva in grado di evidenziare la complessità della situazione, che non può essere ridotta soltanto alle questioni di ordine pubblico e a singoli episodi di cronaca, ma che dovrebbe, invece, essere contestualizzata e affrontata prendendo in esame elementi di carattere economico, politico, amministrativo. Inoltre, utilizzando sempre fonti ufficiali e istituzionali per i propri resoconti, i giornalisti non sono chiamati a fornire una conoscenza più approfondita e obiettiva, perché concentrati soltanto nel voler fornire un’immagine neutrale e imparziale, cosa che, tra l’altro, disattendono spesso per il tipo di linguaggio utilizzato, come vedremo tra poco. In realtà, i giornali locali non forniscono ai lettori le conoscenze adeguate alla valutazione della situazione complessiva e delle problematiche in atto, ma soltanto un’interpretazione mirata, semplificata e univoca legata a schemi noti e non problematici, che si risolvono nello stereotipo di individui marginali dediti ad attività criminose, incivili in quanto predisposti all’aggressione violenta. La semplificazione del fenomeno migratorio e della situazione sociale dell’Hotel House diventa allarme sociale mediatico, rimanda continuamente allo stereotipo del simbolo negativo dell’immigrazione e ripetuto a cicli periodici in forme univoche e coerenti, entra nella formazione dell’opinione pubblica cittadina.

 
13. La costruzione giornalistica del tema Hotel House
L’attenzione mediatica nei confronti dell’Hotel House cresce negli anni fino a divenire un vero e proprio tema giornalistico ricorrente. L’evidenza di questa tematizzazione è dimostrata dal richiamo costante al nome del palazzo nei titoli degli articoli che si susseguono negli anni. Sul progressivo aumento delle notizie legate all’Hotel House ha inciso la sempre maggior influenza del fenomeno immigrazione nell’agenda informativa del Paese. Il nome del palazzo rappresenta, quindi, un tema giornalistico ormai consolidato, facilmente riconoscibile e che costituisce, già di per sè, un elemento dotato di una carica interpretativa precisa dei fatti e episodi cui fa da sfondo. Basta dire Hotel House per evocare in maniera persuasiva interpretazioni pregiudiziali, veicolare una serie di significati, che fanno del luogo un vero e proprio simbolo di degrado sociale, culturale e civile, tutto ciò, come vedremo, al di là della gravità e portata, spesso alterata e insignificante, dei singoli episodi.
A sua volta il sistema informativo giornalistico, per sue proprie esigenze produttive e di vendita, trova nell’Hotel House un’ottima fonte continuativa da cui trarre notizie in grado di occupare, opportunamente enfatizzate e spettacolarizzate, le pagine dei quotidiani e mantenere alta l’attenzione dei lettori. Un colpo sparato in aria da un poliziotto per intimare l’alt a un auto in fuga diventa sparatoria, una rissa diventa una maxi rissa, una ferita superficiale diventa accoltellamento, e così via. L’edificio stesso assume connotazioni sempre più “mostruose” nelle descrizioni fantasiose di alcuni giornalisti, che si concedono qualche licenza linguistica nella volontà di dare un tono più magniloquente e arricchire episodi e vicende altrimenti di scarso o nullo interesse. Riporto di seguito tutta una serie di esempi, in grado di rendere evidente la trama sensazionalistica che predomina sul tema giornalistico dell’Hotel House e la scarsa corrispondenza con la realtà dei fatti. Il 29 agosto 2002 appare sulla prima pagina dell’edizione nazionale de «Il Resto del Carlino» il titolo: Macerata, carabinieri assediati, arresti” e sotto: “A Porto Recanati circa 30 persone assediano due carabinieri che si erano recati nella zona per sanzionare un autista di camion senza patente”. La notizia è riportata sulla copertina de «Il Resto del Carlino - Macerata» dove appare il titolo a mezza pagina con fotografia: “Minaccioso assedio ai carabinieri” e sotto: “momenti di tensione all’Hotel House”. Il giorno seguente, 30 agosto 2002, in un trafiletto, senza fotografia, in cronaca locale, è scritto: “Scarcerati gli aggressori dei carabinieri”. Si trattava di tre italiani. La scarsa gravità dell’episodio riportato con grande enfasi nella prima pagina della cronaca nazionale e nella prima pagina della cronaca locale dei due quotidiani, è tutta racchiusa nel trafiletto del giorno seguente che ne evidenzia l’insignificanza. Il 12 settembre 2002, su “Il Resto del Carlino”, in cronaca locale: “Scappano tre spacciatori, i carabinieri sparano: presi” episodio accaduto nelle campagne vicine all’Hotel House come spiegato nell’articolo. Il 13 settembre 2002 sempre in cronaca locale: “Inseguimento con sparatoria: oggi davanti al giudice i tre tunisini arrestati”. Andando a leggere l’articolo, però, la vicenda assume un tono un po’ diverso: “Uno dei tre è rimasto ferito di striscio da un colpo di pistola partito accidentalmente all’arma di uno dei carabinieri”.
I toni assumono maggior colore nel «Corriere Adriatico» che sulla stessa vicenda, il 12 settembre 2002 titola in prima pagina: “Sparatoria all’alt, un ferito.” e in corsivo “Porto Recanati: conflitto a fuoco dei carabinieri”. La notizia è riportata per tre giorni consecutivi42. Il 13 settembre 2002, in cronaca locale: “Sparatoria, rimane ferito un clandestino” e sopra in corsivo: “Porto Recanati, conflitto a fuoco nei pressi dell’Hotel House. Tre arresti per droga”. Il 14 settembre 2002 si legge: “Sparatoria nella notte. Il terzetto alla sbarra” e in corsivo: “tre extracomunitari, due tunisini e un marocchino arrestati dopo un conflitto a fuoco”. Spesso una vicenda di cronaca diventa il pretesto per enfatizzare i toni: “Da agosto in poi qui è l’inferno, ammettono senza mezze misure chiarendo subito come si vive a contatto giornaliero con questa realtà. Guai a tenere occhi aperti e lo sguardo in avanti perché immediatamente si corre il rischio di essere considerati impiccioni per non dire peggio”. Il sottoscritto ha girato un documentario all’interno dell’Hotel House nel 2004 e ha frequentato e filmato giornalmente la vita di molte persone per circa dieci mesi. Mi limito a testimoniare che l’idea che la gente viva in una costante atmosfera di paura e abbia timore di uscire di casa è falsa e non risponde in alcun modo a verità.
Il 3 maggio 2005 sul «Corriere Adriatico» nella cronaca locale, mezza pagina con fotografia: “Salita fatale per i ladri in bici” e in corsivo: “Controlli all’Hotel House. Finiscono nella rete anche due maldestri autori del furto di una bicicletta”.
Il 12 luglio 2005, «Corriere Adriatico»: “Paura all’Hotel House. Aggredisce i carabinieri. Arrestato.” E nell’articolo si legge: “Giovane tunisino di 30 anni ubriaco. “Sembrava un indemoniato” dicono alcuni testimoni.” Il 22 gennaio 2007 in prima pagina sempre sul «Corriere Adriatico»: “All’Hotel House. Tre in fuga saltando sui balconi”. E in cronaca locale: “Volano da un balcone all’altro per tentare la fuga” “Inseguimento da film all’Hotel House. Il gruppo rintracciato nella notte.”
E nell’articolo che segue si può leggere: “Come nei film. Da un balcone all’altro sospesi nel vuoto…come nei film hanno vinto i buoni. Difficile che avvenga lo stesso nella realtà.”  Ancora, il 5 Aprile 2003 su «Il Resto del Carlino»: “Hotel House, tunisini ricercati. Sfondano la porta e occupano un appartamento: condannati.”
Spesso si utilizzano titoli ad effetto che vogliono evidenziare straordinarie e fantomatiche abilità e astuzie dei migranti. Il 31 maggio 2003, su «Il Resto del Carlino»: “Espulso algerino con 20 alias”, e il 16 marzo 2003 su «Il Resto del Carlino»: “Mentre fanno sesso lei gli ruba il portafogli. Si erano appartati vicino all’Hotel House”. Il 18 aprile 2004 sulla prima pagina del «Il Resto del Carlino - Macerata»: “Rissa, spuntano i coltelli” e in cronaca locale: “Rissa a coltellate”. Nell’articolo viene riportata la reale entità del fatto: “Rissa tra due tunisini.
Oltre a loro finisce nei guai una famiglia di tunisini cui viene contestato il favoreggiamento avendo ospitato in casa i due rivali (che nel frattempo si erano riappacificati) e avendo tentato di occultare le prove di quella zuffa: le “armi” utilizzate (coltelli da cucina) e gli abiti sporchi di sangue (ritrovati all’interno della lavatrice). Le ferite sono tutte superficiali. Nessuno s’è fatto refertare all’ospedale”.
Il 5 maggio 2004 invece «Il Resto del Carlino» titola: “Lui ci “prova”, lei non ci sta e gli strappa la bocca a morsi”. Nel testo dell’articolo si ridimensiona l’accaduto: “Violenta rissa tra nigeriani all’Hotel House. La vittima ha riportato una ferita al labbro superiore”. Altro episodio che assume toni enfatizzanti appare nella cronaca locale de «Il Resto del Carlino»  il 19 ottobre 2004: “Ragazza sfregiata al volto dal fratello”. Colorito e sopra le righe anche il testo dell’articolo: “Al culmine di una violenta lite una giovane nigeriana è stata ferita al volto dal fratello all’Hotel House. Una volta scesa in strada la ragazza che grondava sangue, ha chiesto aiuto…Quel po’ po’ di emorragia faceva temere il peggio. E invece all’ospedale di Recanati, dove è stata trasportata, i sanitari hanno potuto verificare che le ferite inferte erano superficiali e che non erano stati interessati vasi sanguigni vitali. Sette giorni di prognosi.” Il 2 gennaio 2005, «Il Resto del Carlino»: “Hotel House. Fiamme in un balcone.” Nell’articolo si legge: “in un balconcino di un appartamento dell’Hotel House occupato da un clan di immigrati del Bangladesh. Li c’erano quattro bombole GPL vuote, stracci e altre cianfrusaglie che hanno preso subito fuoco. Gli inquilini asiatici dormivano della grossa e così il portiere e alcuni occasionali “aiutanti” hanno dovuto sfondare la porta per entrare e sedare le fiamme…” Siamo in presenza di una disumanizzazione dei migranti, che ci vengono presentati, attraverso un preciso uso del linguaggio, come categoria univoca e omogenea: gli individui non sembrano possedere un sufficiente grado di civiltà e appaiono privi di sentimenti umani. Nell’ottica di strategie di enfatizzazione e spettacolarizzazione giornalistica di episodi di cronaca rientra l’uso di metafore cinematografiche nei titoli. Così il 10 giugno 2006 sulla prima pagina de “Il carlino Marche Macerata”, con fotografia a tutta pagina, si legge il titolo: “Arancia meccanica all’Hotel House”. In proposito bisogna tener conto dell’importanza del titolo come sintesi ma anche come elemento fondamentale nella costruzione della notizia: il lettore si limita spesso alla lettura del solo titolo e dei grassetti o corsivi. L’argomento che ricorre con maggior insistenza sono i resoconti dei continui blitz delle forze dell’ordine che ciclicamente effettuano un “rastrellamento43” del palazzo alla ricerca di spacciatori e clandestini, droga e merce contraffatta, che rappresentano le situazioni di illegalità più significative. Emblematico da un punto di vista della costruzione della notizia, il seguente articolo apparso il 26 novembre 2004 su «Il Resto del Carlino»: “Blitz all’Hotel House, quattro denunciati”, nell’articolo si legge: “I carabinieri si sono introdotti a colpo sicuro in quell’appartamento all’Hotel House, consapevoli che lì avevano preso alloggio stranieri privi del documento di soggiorno. Non solo: sospettavano pure che quello fosse un covo in uso a una organizzazione dedita alla distribuzione di passaporti e di altri documenti falsi…il blitz è effettivamente servito a sorprendere due pakistani clandestini, ma non sono stati trovati riscontri sul versante della contraffazione.” In un articolo del 14 giugno 2007 su “Il Resto del Carlino” si legge il seguente titolo: “Fuggi fuggi e colpo di pistola. Altra retata all’Hotel House” accompagnato da singolari descrizioni: “colpo in aria di un agente che si è sentito nel raggio di un sacco di metri quadrati” “Tra i loculi dello sgorbio di Porto Recanati si sono infilate le unità cinofile”. Quella dei blitz delle forze dell’ordine è pratica che assume una doppia valenza per il tema giornalistico Hotel House: da un lato è episodio di grande impatto mediatico, eclatante e spettacolare nelle modalità in cui viene realizzato (uso di elicotteri, unità mobili, unità cinofile, azione spesso congiunta tra finanza, polizia e carabinieri, gran numero di agenti); dall’altro lato assume valore rassicurante per via del maggior senso di sicurezza che scaturisce da azioni di forza di fronte all’opinione pubblica. In realtà queste azioni seguono uno schema ben preciso e frequente nella rappresentazione sociale del tema Hotel House. Uno schema che è quello costituito da tre elementi fondamentali: degrado e criminalità, esasperazione dei residenti, risposta delle forze dell’ordine. Questa è la struttura trasversale che va a caratterizzare la quasi totalità degli articoli dedicati alle vicende dell’Hotel House, a prescindere dalla corrispondenza della realtà dei fatti rispetto alla dimensione e rilevanza che assumono sulle pagine dei giornali. Negli articoli esaminati si riscontra sempre almeno uno di questi elementi di questa struttura che rappresenta la base, il modello profondo attorno al quale ruotano tutte le modalità attraverso le quali si costruisce giornalisticamente la vicenda. Con questo non si vuol dire che non si verificano mai casi in cui questa struttura non sia giustificata dalla realtà dei singoli episodi: “Maxi operazione all’Hotel House, sequestrate sostanze stupefacenti e chiuso phone center” 44, “Altro blitz all’Hotel House. Un arresto e molte denunce45”, “All’arrivo della polizia piovono borse e dvd falsi46”, “Il questore fa chiudere il bar per la gioia dei residenti47”. Quest’ultimo titolo porta in primo piano i residenti dell’Hotel House: richiedono a più riprese interventi delle forze dell’ordine sul versante sicurezza e plaudono agli interventi di controllo e ai blitz più eclatanti rientrando perfettamente nella struttura sopra descritta.  Le richieste di più protezione iniziano già a partire dal 2003: “Degrado e paura, spaccio e prostituzione servono più controlli. I residenti lanciano un appello” 48. Il 10 novembre 2006 «Il Resto del Carlino», edizione locale,  titola: “Ore 4: assaltato il forte di droga e malavita49 e sul «Corriere Adriatico» sempre il 10 novembre:  “Gli inquilini: ci avete ridato fiducia50” e sopra in corsivo: “Commenti entusiastici dopo il blitz: accolte le nostre richieste”.
La considerazione dell’opinione e delle rivendicazioni dei residenti è da mettere in relazione con la costituzione nel 2005 di un comitato organizzato da parte di alcuni abitanti dell’Hotel House con lo scopo di rivendicare con forza maggiore attenzione e considerazione da parte delle autorità e delle istituzioni. Le richieste sono essenzialmente quelle di un maggior controllo e sicurezza all’interno dell’edificio nel quale, per colpa di pochi, si creano delle situazioni pericolose di illegalità.
Tuttavia, c’è anche la volontà di mostrare un volto alternativo degli abitanti dell’edificio e inquadrare la situazione in un’ottica un po’ più complessa: “Sit-in davanti alla prefettura. Residenti riuniti in un comitato. Mobilitazione all’Hotel House”51; “Hotel House segnali di pace. I residenti insistono: occorrono più iniziative sociali e commerciali”52; “Una speranza per l’Hotel House. Il comitato dei residenti spiega le ragioni della protesta”53. Gli appelli alla sicurezza e contemporaneamente a non criminalizzare in modo eccessivo l’Hotel House provengono anche dall’amministrazione comunale di Porto Recanati: “L’Hotel House non è l’inferno. Problemi simili a quelli di altre città”54. Anche il sindaco in prima linea, tra un appello al prefetto della Provincia di Macerata e l’altro, a più riprese rilancia: “L’Hotel House, no non è un ghetto”55; “Ordine pubblico, garanzie dal prefetto”56.
Tuttavia, i residenti, a più riprese, richiamano l’amministrazione comunale ai suoi doveri politici e amministrativi nei confronti dell’Hotel House: “Il sindaco si interessi di più ai problemi dell’Hotel House”57 e nell’articolo che segue: “Non possiamo più nemmeno dire in giro che abitiamo all’Hotel House perché questo basta a qualificarci in modo negativo, con tutti i contraccolpi d’ordine morale e sociale che ne possono derivare. Qui abitano, non dico vivono, oltre 200 famiglie con i figli e non capisco come questo non venga considerato un problema collettivo. Un problema politico, intendo dire, e non un semplice problema di ordine pubblico.” Come si può evincere da questi ultimi esempi, quindi, la situazione sociale dell’Hotel House presenta sfaccettature e problematiche ben più complesse che la semplice registrazione di notizie legate a reati e successive retate. Il trattamento giornalistico riservato dai quotidiani locali all’Hotel House, però, non sembra tenerne conto e progressivamente nel corso degli anni si è intensificata sempre più l’attenzione sulla cronaca nera, proponendo l’edificio come un vero e proprio simbolo della criminalità immigrata e della marginalità sociale: “Quei soliti occhioni scuri si affacciano dalle terrazze del mostro a più teste, ritto sulla piana di Porto Recanati”58; “Gli infissi sono bassi e stretti. Come le prospettive dei ragazzini neri che campano nelle scatolette geometriche del mostro di cemento: quell’idra a più teste che svetta sulla piana infuocata dai rossori dell’alba”59. Le metafore, i toni e il linguaggio usati nei titoli non lasciano spazio a dubbi sulla “mostruosità” del palazzo. Entrano in gioco le questioni legate al simbolismo insito nell’edificio: si tratta di un vero e proprio “ghetto” fisico, ben individuabile sia dalle autorità locali (e quindi facilmente controllabile), sia dagli stessi cittadini. Si va a finire nel campo della territorialità, attorno alla quale ruota l’idea di appartenenza di una comunità in senso identitario e l’effetto che ne scaturisce è un  sentimento di essere come spodestati da una categoria di persone non desiderata e rappresentata socialmente come un’unica massa omogenea e spersonalizzata.  
In questo senso vanno letti i timidi tentativi di lettura sociologica della situazione demografica e delle trasformazioni sociali che si accompagnano all’immigrazione “Aumenta l’esercito degli stranieri. Ormai sono il 22%. Scompare l’identità cittadina”60. Nell’articolo si legge: “Va scomparendo la portorecanatesità, cioè il carattere, pur con tutti i suoi limiti e difetti, di un paese sostanzialmente pacifico e alieno alla violenza di qualsiasi genere”. E ancora: “Portorecanatesi in via di estinzione. Il secondo cognome più diffuso è il senegalese N’Diop” 61.
A questo punto non è più necessario dilungarsi sui significati veicolati da questi modelli narrativi e sulle ricadute che questi hanno nella semplificante visione del “caso” Hotel House e dell’immigrazione. Più significativo mi sembra sia mettere in evidenza che queste logiche di rappresentazione fatte di forte generalizzazione e semplificazione, non risponde solo ad esigenze giornalistiche, ma sono espressione anche dell’immagine forte che le istituzioni locali e le forze dell’ordine devono dare all’opinione pubblica: “Stranieri e crimine sotto controllo” 62, “Controlli e tolleranza zero”63, “Telecamere anticrimine” 64. Si ricalca uno schema noto secondo cui la criminalità degli immigrati va tenuta costantemente sotto controllo e va repressa in difesa dei cittadini e ciò produce e rafforza la rappresentazione sociale di una separazione e opposizione netta fra due realtà non conciliabili: da una parte gli immigrati delinquenti e criminali, dall’altra parte la società civile locale.
Questi pochi esempi riportati (se ne potrebbero aggiungere molti altri che offrirebbero ulteriori spunti di riflessione, ma non possiamo per brevità di trattazione) mettono in evidenza una precisa pratica linguistica volta alla rappresentazione sociale degli immigrati, e di riflesso dell’Hotel House, in qualcosa che destabilizza irrimediabilmente la nostra società, qualcosa di inconciliabile che rimanda anche ad una certa paura del “meticciato” di antica memoria. I modelli narrativi e linguistici utilizzati rimangono più o meno sempre gli stessi in una spirale ripetuta e riconoscibile cui i lettori sono abituati. La terminologia scelta sempre con attenzione ai toni forti e ad effetto viene applicata non sulla base della gravità o straordinarietà delle situazione o episodi, ma in tutti i tipi di notizie riguardanti l’Hotel House e gli immigrati. Si tratta in ultima analisi di avere a che fare con una serie di dati che ci testimoniano di un trattamento giornalistico che è fatto di interpretazioni univoche e omogenee nella loro negatività e nell’enfatizzare l’allarme sociale causato dalla presenza di un “ghetto” occupato da stranieri all’intento della città. È certo che per le esigenze e strategie produttive, i quotidiani locali accolgano le informazioni che giungono dall’Hotel House come una fonte irresistibile e una possibilità unica di attingere quotidianamente innumerevoli notizie in grado di attirare l’attenzione del lettore all’interno di schemi interpretativi consolidati. È una logica che appartiene in senso profondo al sistema dell’informazione e la cui chiave di lettura è la ricerca di riconoscibilità e ripetitività attraverso la creazione (e non invenzione) del “tema” giornalistico “Hotel House”, con il suo portato simbolico carico di negatività e che si risolve in un processo di esasperazione della diversità che porta all’esclusione sociale concettuale e di fatto.
1 A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 8
2 A tal proposito Fiamma Nirenstein ha scritto un libro dal titolo eloquente Il razzista democratico, nel quale si può leggere quanto segue: “Non bisogna mai dimenticare che i valori che hanno formato la base più crudele del razzismo sono rimasti tuttavia alle fondamenta di tutto quanto il razzismo moderno: la pulizia, l’onestà, la serietà morale, il duro lavoro, la vita familiare, cioè gli ideali che nel XIX secolo soppiantarono la frivolezza e il dolce far niente, la gioia di vivere da farfalloni, che vennero attribuiti agli antenati del secolo precedente. La rispettabilità sociale è stata sempre un’alleata fondamentale del razzismo”. F.Nierenstein, Il razzista democratico, Mondadori, Milano 1990; per un’analisi puntuale delle dinamiche e logiche razziste che da sempre agiscono sotterraneamente nella società italiana rimando ad A. Rivera, Immigrati, in R. Gallissot e A. Rivera, L’imbroglio etnico in quattordici parole chiave, Dedalo, Bari 1997, p. 201 e a S. Palidda, Verso il “Fascismo Democratico”? Note su emigrazione, immigrazione e società dominanti, in «aut aut», n° 275, 1996, pp. 143-168
3 Sulle logiche simboliche e sociali dell’esclusione vedi A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, cit. e P. Bourdieu (a cura di), La misère du mond, Seuil, Parigi 1993.
4 Il mito dell’“Italiano, brava gente”, fondamentalmente esente da pregiudizi e razzismi proprio perché popolo di emigranti fino a tempi molto recenti, deriva essenzialmente da un mancato processo di revisione critica collettivo del proprio passato coloniale e fascista, che sono alla base della costruzione di quei sentimenti e pregiudizi razzisti che minano la nostra cultura nel profondo.
5 Il mio riferimento generale per questa analisi è quello proposto in A. Dal Lago (a cura di), Lo straniero e il nemico. Materiali per l’etnografia contemporanea, Costa & Nolan, Genova 1997 e in R. Gallissot e A. Rivera, L’imbroglio etnico in quattordici parole chiave, cit.; sul tema dell’identità etnica come rivendicazione politica in funzione nazionalista o localista occorre citare U. Fabietti, L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, La Nuova Italia, Roma 1995, ma anche B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e diffusione del nazionalismo, Il Manifesto, Roma 1996.
6 Sulla costruzione sociale della devianza e criminalità degli immigrati, si veda S. Palidda, Devianza e criminalità tra gli immigrati, Fondazione Cariplo/Ismu, Milano 1994; S. Palidda, Polizia post-moderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, Milano 2000; M. Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia. Una coraggiosa indagine empirica su un tema che ci divide, Il Mulino, Bologna 1998. Per una puntuale analisi dei numerosi equivoci che scaturiscono dal distorto uso delle statistiche sui reati penali ad opera di migranti, P. Tournier e P. Robert, Etrangers et delinquances. Les chiffres du débat, L’Harmattan, Parigi 1991.
7 Per quanto riguarda lo studio dei meccanismi che sono alla base della formazione di un senso comune e pregiudizio riguardante gli stranieri e alla base del fondamento cognitivo del razzismo, B.M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997; R. Gallissot e A. Rivera, L’imbroglio etnico in quattordici parole chiave, cit.; C. Gallini, Giochi pericolosi. Frammenti di un immaginario alquanto razzista, Il Manifesto, Roma, 2000; M.S. Agnoli, Lo straniero in immagine. Rappresentazione degli immigrati e pregiudizio tra gli studenti del Lazio, Franco Angeli, Milano 2004; L. Balbo, L. Manconi, Razzismi: un vocabolario, Feltrinelli, Milano 1999, e anche T.A. Van Dijk, Communicating Racism. Ethnic Prejudice in Thought and Talk, Sage, Newbury Park - Londra- Nuova Dehli 1987, trad. in Il discorso razzista. La riproduzione del pregiudizio nei discorsi quotidiani, Rubbettino, Messina 1994.
8 Una leggenda metropolitana è una storia, una notizia, priva di alcun fondamento, ma che diventa “reale”, “vera”, circolando di voce in voce nelle chiacchiere quotidiane; capita talvolta che essa venga riportata dalla stampa o dai mezzi di comunicazione di massa diffondendosi a macchia d’olio. Nei confronti dell’immigrazione, le leggende metropolitane che si sono diffuse negli ultimi anni sono tali e tante da non meritare alcuna citazione particolare. Queste dicerie sono costituite spesso da crimini o stratagemmi criminosi, astuzie e abilità straordinarie, azioni odiose e crudeli. Esse scaturiscono da un perverso circuito di dicerie, sentito dire e mezzi di informazione di massa. Su queste tematiche cfr. J. Brunvard, Leggende Metropolitane, Costa & Nolan, Genova 1993.
9 Cfr. E. Said, Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Feltrinelli, Milano 1995.
10 Si veda M. Maneri, Lo straniero consensuale. La devianza degli immigrati come circolarità di pratiche e discorsi, in A. Dal Lago (a cura di), Lo straniero e il nemico, cit..
11 Per un’analisi dell’etnicizzazione delle culture e dei confini e conflitti etnici, F. Barth, I gruppi etnici e i loro confini, in V. Maher, Questioni di etnicità, Rosemberg & Sellier, Torino 1994; V. Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale, Laterza, Bari 1999. Un’importante analisi della questione si trova anche in R. Gallissot e A. Rivera, L’imbroglio etnico in quattordici parole chiave, cit..
12 Per una panoramica esaustiva sulle varie teorie semiotiche di riferimento vedi, U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano 1995; P. L. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969. Per il metodo strutturalista nella scienza antropologica vedi, C. Levi-Strauss, Antropologia strutturale, Net, Milano 2002.
13 E. Pavolini, Immigrati e lavoro: inserimento, integrazione e criticità, in Marche 2004. Mappe e scenari della società regionale 1° rapporto, a cura di I. Diamanti e L. Ceccarini, Liguori, Napoli, 2004, pp. 141-154
14 La fonte è ripresa dai dati statistici ufficiali messi a disposizione dall’Ufficio Anagrafe del Comune di Porto Recanati, agosto 2007.
15 I dati statistici relativi alla composizione della popolazione del condominio Hotel House sono stati redatti dall’Ufficio Anagrafe del Comune di Porto Recanati e messi gentilmente a disposizione dall’Amministrazione del condomino.
16 Cfr. I. Diamanti, Come “riconquistare” le nostre città appassite, «La Repubblica», 13 novembre 2005.
17 Per senso comune intendo una rappresentazione del mondo, un modo di categorizzare l’esperienza del quotidiano e un immaginario il cui modus operandi si basa su pregiudizi e stereotipi.
18 “Il razzismo ordinario di oggi non è un residuo del pensiero colto di un tempo […]; è una creazione moderna del pensiero incolto. È vero che il pensiero comune è influenzato dalle conoscenze scientifiche, ma è anche vero che esso opera una selezione metodica, conforme alle pratiche cognitive e discorsive che gli sono proprie”. W. Stoczkowski, La pensée de l’exclusion et la pensée de la difference. Quel cause pour quelle effet?, «L’Homme», n. 150, 1999, pp. 45-76.
19 Cfr. Luigi Perrone, Da straniero a clandestino. Lo straniero nel pensiero sociologico occidentale, Liguori, Napoli 2005; S. Sassen, Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano 1999.
20 Sui concetti di alterità e di riflessione sulla diversità umana rimando a T. Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Einaudi, Torino, 1991; M. Filami, L’invention de l’autre, Payot, Losanna 1994; A. Sayad, L’immigration ou le paradoxe de l’alterité, De Boeck-Wesmael, Bruxelles 1990; U. Hannerz, La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001.
21 Per una riflessione fondamentale sul concetto di differenza culturale e sul concetto di razzismo si rimanda a C. Levi-Strauss, Razza e storia, Razza e cultura, Einaudi, Torino 2002.
22 C. Levi-Strauss, Antropologia Strutturale, cit..
23 Cfr. R. Jakobson e M. Halle, Fundamentals of language, Mouton & Co, L’Aja, 1956
24 Cfr. Luigi Perrone, Da straniero a clandestino, cit.; A. Dal Lago (a cura di), Lo straniero e il nemico, cit..
25 Cfr. U. Eco, Guida all’interpretazione del linguaggio giornalistico, in V. Capecchi e M. Rivolsi, La stampa quotidiana in Italia, Bompiani, Milano 1971.
26 Per un’analisi accurata del processo di selezione delle informazioni che arrivano alla direzione e redazione di giornali e televisioni rimando alla lettura di C. Sorrentino, I percorsi della notizia. La stampa quotidiana fra politica e mercato, Baskerville, Bologna 1995; M. McCombs, I media e le nostre rappresentazioni della realtà. Un’analisi della seconda dimensione dell’agenda settings, in S. Bentivegna (a cura di), Comunicare politica nel sistema dei media, Costa & Nolan, Genova, 1996; N. Luhmann, La realtà dei mass media, cit.; P Golding e P. Elliot, Making the news, Longman, Londra 1979; N. Chomsky e E. S. Herman, La fabbrica del consenso, ovvero la politica dei mass-media, Angelo Guerini, Milano 1998.
27 La necessità di un sistematico flusso di notizie e informazioni attendibili e legittime porta i media a instaurare rapporti con le istituzioni più autorevoli in grado di fornire fonti veloci e sicure. In questo modo l’interpretazione di una certa realtà che scaturisce da questi rapporti è ben determinata e va a collidere fortemente con la presunta completezza e imparzialità o oggettività spacciata dell’industria giornalistica e mediatica. In proposito vedi M. McCombs, e D. Shaw, La funzione di Agenda-setting dei mass media, in S. Bentivegna, Mediare la realtà. Mass media, sistema politico e opinione pubblica, Franco Angeli, Milano 1995. Nei capitoli successivi si vedrà come questo connubio tra politica e media si ritrovi perfettamente anche nel caso dell’Hotel House.
28 Cfr. N. Luhmann, La realtà dei mass-media, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 46-52.
29 “I prodotti giornalistici sono assai più omogenei di quanto si creda. Le differenze più evidenti, legate in particolare alla colorazione politica dei giornali, nascondono somiglianze profonde, legate soprattutto ai vincoli imposti dalle fonti e da tutta una serie di meccanismi, il più importante dei quali rimane la logica della concorrenza”. P. Bourdieu, Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 135
30 V.Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale, op. cit.
31 In proposito vedi, R. Sibhatu, Il cittadino che non c’è: l’immigrazione nei media italiani, EdUp, Roma 2004, e anche M. Mansoubi, Noi Stranieri d’Italia: immigrazione e mass-media, Maria Pacini Fazzi, Lucca 2004.
32 M. Corte,  Stranieri e mass-media. Stampa, immigrazione e pedagogia interculturale, Cedam, 2002.
33A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, cit., p. 71.
34 La prima pietra è stata posta il 22 luglio 1967 nel quartiere di Santa Maria in Potenza di Porto Recanati, alla presenza dell’Arcivescovo di Ancona, Mons. Stefano Tinivella, dell’On. Avv. Lorenzo Natali, Ministro della Marina Mercantile, del vicepresidente della DC On. Forlani, del Sottosegretario alla Cassa per il Mezzogiorno On. Castellucci, degli On. Delle Fave, Tambroni, Rinaldi, del sindaco di Porto Recanati Pasquale Moroni, del sindaco di Recanati On. Franco Foschi, del capogruppo consiliare della DC di Macerata On. Ciaffi e del costruttore Antonio Sperimenti. Presenti anche numerosi parlamentari. La fonte principale dalla quale traggo queste informazioni e quelle che seguono nel testo, è data da un numero unico della «Riviera Adriatica» uscito nel settembre del 1968 e intitolato proprio “Hotel House”, stampato per informare la costruzione in atto della struttura residenziale. Al momento della pubblicazione di questo numero speciale tutti i 480 appartamenti erano già stati venduti a privati, quindi lo scopo informativo del giornalino esulava da una pubblicità di tipo speculativo. Una copia di questo giornale si trova nell’archivio dell’Ufficio Tecnico del Comune di Porto Recanati insieme ai progetti originali del quartiere.
35 Da riportare all’attenzione alcune frasi che appaiono in grassetto nel già citato Numero unico della «Riviera Adriatica», “Hotel House”, e che riguardano il pensiero espresso da alcune figure di esperti in riferimento al concetto del costruire in altezza quale dimensione ottimale del vivere quotidiano dell’epoca e per il futuro: “L’urbanista: pochi edifici ma belli, in mezzo allo spazio nel verde e nell’azzurro. L’architetto: l’alto è una ricchezza messa al nostro servizio. Il sociologo: la solitudine nella comunità. Condizione ideale è nel grattacielo. Lo psicologo: meglio tante che poche famiglie. Meglio il condominio verticale che quello orizzontale”.
36 “Oggi qualcuno usa il termine Hotel House per indicare un appartamento creato a misura di un piccolo nucleo familiare e mostra di non aver capito niente del concetto fondamentale dell’Hotel House, che è quello dell’autosufficienza.”, Intervista ad Antonio Sperimenti, «Voce Adriatica», 31 maggio 1969.
37 La frase appare in un articolo dal titolo “Costruire in altezza, dimensione del nostro tempo”, all’interno del Numero unico della «Riviera Adriatica», “Hotel House”, settembre 1968. Negli articoli di questo giornalino è evidente un continuo richiamo ai principi generali dell’opera e del pensiero di Le Corbusier che trova espressione in alcune citazioni sparse: “Contro la grande dispersione generata dal panico, occorre richiamarsi ad una legge naturale: gli uomini tendono a raggrupparsi per aiutarsi, difendersi e fare economia dei loro sforzi”; e ancora “si faccia tesoro della superficie libera; si conservi lo spazio libero; si esaltino le cose mediante la sensazione di spazio. SI levino al cielo, in mezzo allo spazio, nel verde e nell’azzurro, alcuni pochi edifici che qualificheremo a priori belli e degni, prova di ottimismo e di capacità tecnica e spirituale”, Le Corbusier, Manière de penser l’urbanisme, Gonthier, Parigi 1963.
38 Per definire cosa si intende con il termine mass-media prendo a prestito la definizione fornita da Luhmann: “Tutti quegli apparati della società che si servono di strumenti tecnici di riproduzione per diffondere la comunicazione e la conoscenza del mondo”, N. Luhmann, La realtà dei mass media, cit., pag. 16.
39 Non è accertabile il numero dei migranti clandestini che comunque che, secondo stime fornite dalle forze dell’ordine locali,  non supera comunque le duecento unità.
40 Vedi: A.C. “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata,  7 agosto 2007.
41 Sono state prese in considerazione le valutazioni di dieci persone!
42 Gli articoli del Corriere Adriatico citati sono a cura dei giornalisti D. Pallotta e M. Leonardi
43 Le espressioni usate più di frequente sono: “rastrellamento”, “passare al setaccio”, “operazione di pulizia”, “assalto” e i più comuni “retata” e “blitz”.
44 A.C., Il Resto del Carlino, Carlino Marche edizione Macerata, 27 giugno 2007. La chiusura dei Phone Center è avvenuta in seguito a controlli effettuati in base alla legge internazionale antiterrorismo. La vicenda della chiusura di due Phone Center ha avuto grande richiamo e titoli eclatanti sui quotidiani locali. Le cause della chiusura sono: mancata registrazione dei clienti attraverso fotocopia del documento, mancata pubblicazione in più lingue delle regole d’uso dei telefoni, affido dell’attività a persone non autorizzate.
45 “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata, 3 giugno 2006, pag. XII (articolo non firmato)
46 “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata,  2 giugno 2006, pag. XIV, articolo non firmato. Nell’articolo si legge: “operazione voluta dal nuovo questore in vista dell’apertura della stagione estiva”.
47 “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche Edizione Macerata, 18 maggio 2006, pag. XIX, articolo non firmato
48 “Il Resto del Carlino”, prima pagina del Carlino Marche edizione Macerata, 14 marzo 2003
49 L’articolo, a cura di P. Pagnanelli, appare in Macerata Primo Piano, pag II e III, Carlino Marche edizione Macerata, 10 novembre 2006
50 L’articolo è curato da N. Coppari
51 A. Bufalari, in “Corriere Adriatico”, 18 gennaio 2005, pag. VII
52 A. Bufalari, “Corriere Adriatico”, 25 gennaio 2005, pag. VII
53 A. Bufalari, “Corriere Adriatico”, 27 gennaio 2005, pag. VII
54 A. Bufalari, “Corriere Adriatico”, 16 marzo 2003, pag. VIII
55 A. Latini, “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata, 19 marzo 2003, pag. XVII
56 A. Bufalari, “Corriere Adriatico”, 30 giugno 2007, pag. XIII
57 A. Bufalari, “Corriere Adriatico”, 5 aprile 2003. Le frasi riportate sono attribuite a Islam Tajul, un bengalese residente all’Hotel House.
58 D. Ciarrocchi, “Droga pure nei muri. Retata di Clandestini”, in Macerata Primo Piano, pag. II, “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata, 26 maggio 2007
59 D. Ciarrocchi, “Ore 5: attacco al gigante dell’illegalità”, in Macerata Primo Piano pag. II, “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata, 17 maggio 2007
60 A. Bufalari, in “Corriere Adriatico”, 10 ottobre 2006, pag. IX
61 A. Bufalari, in “Corriere Adriatico”, 21 ottobre 2003, pag. VII
62 M. Leopardi,  “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata, 2 dicembre 2003, pag. XVI
63 “Corriere Adriatico”, 12 luglio 2005, pag. V, articolo non firmato
64 “Il Resto del Carlino”, Carlino Marche edizione Macerata, 18 febbraio 2003, pag. XIV articolo non firmato
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